Quando ero bambino ogni anno partecipavo alle colonie estive: alcuni anni il viaggio era in bus altri invece in aereo ma ogni volta c’erano i miei genitori ad accompagnarmi e a salutarmi dal vetro della corriera o dell’oblò.
Arrivo nella capitale cieca quando sta per farsi buio e il primo obiettivo è raggiungere l’albergo ma qui, pur facendo parte della comunità europea, non usano l’euro ma la corona cieca (1 euro è pari a circa 25 corone), moneta che mi serve per il biglietto dell’autobus. Mentre tengo in mano una banconota verde grande come cento 100 euro ma che ne vale solo 4 il vento me la ruba e così un po’ goffo, come Poldo dietro l’anatra, inseguo quell’unica banconota che mi permetterà di raggiungere il collegio.
Il tempo di poggiare la borsa in stanza e sono subito fuori prima che la copisteria chiuda: in mattinata avevo contattato la tipografia per accordarmi sulla stampa del poster, viaggiare con un tubo che sembra il bazooka di Rambo non è agevole, soprattutto se hai peso e spazi limitati per il bagaglio in aereo. Camminando per l’isolato scorgo qualche studente e capisco che è una zona universitaria. Capisco anche che l’albergo dove pernotto è in realtà un collegio universitario che ha un’ala adibita per turisti.
Il collegio è una enorme struttura, ci sono lunghi e monocromi corridoi che diventano il giardino dove affacciano le cucine degli studenti.
Le pareti e le stanze sono tutte uguali, così come le scale. Sembra una monotonia strutturale che, mescolata all’aria calda (non pensavo potesse essere tanto caldo dentro l’albergo al punto da aprire le finestre a causa coi termosifoni accesi) mi da un forte senso di nausea. Ad un certo punto sembra che la vernice delle pareti, dei corridoi rossi separati da quelli gialli, verdi, blu e viola per separare le aree, sia ancora fresca e comincio ad avere nausea. Franz Kafka provava tutta questa nausea nei suoi pensieri?
La copisteria ha l’aspetto di un moderno negozio che spunta fra palazzi enormi, che non sono enormi come i palazzi popolari di Roma ma enormi come le strutture dell’età fascista italiana. Recuperato il poster proseguo per cercare la struttura della conferenza e poi inizio una lunga passeggiata, da solo.
Percorro oltre 3 Km nel buio completo e mi accorgo che le case sono vuote: perché? Le abitazioni sono tutte ben ordinate, pulite e disposte come i quartieri di un plastico. Le strade sono molto larghe così come i marciapiedi, fatti addirittura di grandi sampietrini. I semafori agli incroci sono tutti funzionanti, nuovi ed hanno un segnale acustico che sembra il ticchettio dell’orologio. Per uno stesso incrocio ci sono fino a 6 semafori pedonali e quindi 6 segnalatori acustici che messi insieme, nel buio, incutono quasi una certa paura. Il suono diventa uno sgradevole rumore ridondante che mi entra in testa fino a diventarne quasi il temporizzatore.
Durante il percorso costeggio un muro lungo almeno 1 Km, è il muro che solo parzialmente delimita il Castello di Praga, una delle residenze dell’impero austro-ungarico e il sacro romano impero. Inizialmente penso che sia chiuso perché oltre qualche lampione non vedo né passanti né negozi aperti. Arrivato all’ingresso mi aspettano invece 6 guardie fra militari e polizia.
Sono pulito, ho con me solo una macchina fotografica.
Passando per la piazza all’interno del castello vengo avvolto ancora di più dal buio: sembra che l’assenza di luce sia una caratteristica degli enormi spazi aperti di questo paese.
Superata una galleria finalmente giungo alla Cattedrale di San Vito, santo di oltre un millennio fa. Resto sbalordito dall’imponenza della struttura che d’improvviso diventa colossale di fronte i miei occhi. Il palazzo infatti non permette una vista a media distanza ma solo ravvicinata. Sono obbligato a rimanere col capo rivolto verso l’alto, la percezione è quella di una profonda piccolezza materiale. Comincio a contare quante persone sarebbero servite per la costruzione e realizzazione del portone, quanto tempo avrebbero impiegato, quali tecniche avrebbero utilizzato ma devo smettere.
Ancora una volta, il buio e il silenzio mi lasciano atterrito: scorgo angeli e santi scolpiti sia sul portale che a ridosso del rosone, compaiono figuranti che discutono tra loro o personaggi della vita rurale. Ripenso a quando da bambino guardavo il cartone animati “I gargoyle” e per la prima volta ho la sensazione che quel cartone sia stato ispirato da questa struttura. Non si sente nemmeno la voce dei pochi e sparsi turisti.
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