Quando ho iniziato il dottorato avevo tanti sogni fantastici,
quando l'ho finito non mi sentivo ancora pronto.
Il giorno in cui sono stato proclamato, per un giorno, per quel giorno e per quelli a seguire
mi sono sentito come un cavaliere, un cavaliere investito dal re col titolo di Ph.D.
Philosophiae Doctor.
Ero entusiasta, quasi come alla laurea magistrale ma in modo molto diverso,
forse in modo più maturo ma ancora incerto.
Come alla magistrale, ancora non mi sentivo pronto per passare alla fase successiva ma il giorno del taglio del cordone era arrivato.
Vita da ricercatore, quale è? Quale vi immaginate?
Ho impiegato quasi 2 anni dalla fine del dottorato per capire cosa essere, il ricercatore "è" e solamente poi "fa".
La giornata inizia con un caffè, spesso con una intera moka di caffè.
Messa delle 7:30 e poi in ufficio.
Credo la liturgia importante perchè da una dimensione all'intera giornata di lavoro,
è una sorta di pieno di carburante senza sapere quanti km verranno percorsi.
Controllo le mail e sopratutto leggo il giornale.
Devo leggere e tenermi informato, su quello che avviene ovviamente dal mio punto di vista,
quello che posso cogliere.
Nel frattempo già si fa tardi e mi accorgo di essere indietro con la giornata.
Prendo un primo caffè coi capi
poi un secondo coi clienti
e un terzo coi clienti successivi.
Fa strano impiegare questa parola, cliente, clientelismo, servizio
ma la ricerca in ingegneria è anche questo: offrire un servizio di ricerca che un'azienda non è in grado di sostenere.
Passo alla revisione dei lavori dei tesisti, in tarda mattinata o in primo pomeriggio ora in modalità telematica ma all'inzio è stato tutto attorno un tavolo.
Un tavolo con una presa di corrente e sedie intorno.
Intorno quel tavolo svolgo la mia giornata, uso tastiera e uno schermo, spesso uso il touchpad.
Leggo e rileggo e mi sforzo di capire.
La gestione della ricerca è spesso una interpretazione.
Stare dietro ai bandi regionali, nazionali, europei, ministeriali
stare dietro alle timeline, le scadenze,
cercare i partner opportuni per fare la domanda,
formulare la proposta,
formulare il gantt,
il piano economico,
i tempi,
il personale.
Ma ho studiato per tutto questo?
No.
Ho studiato per prototipare, per sporcarmi le mani, per modellare e 5 anni della mia vita li ho dedicati solo a questo: sono stati sufficienti?
No, nemmeno 10 anni sarebbero bastati.
Sono l'impegno dedicato dietro ogni riga di firmware, il diagramma dietro ogni modulo software,
il fumo del saldatore dietro ogni scheda,
l'attesa dietro al rumore della stampante 3D
che mi hanno formato.
Da autodidatta ho cercato di trovare un metodo di ricerca e l'unica parola era
"ad ogni costo".
Forse la tenacia è il risultato del dottorato che mi è servita come ingresso alla vita da ricercatore.
Ingegnarsi ogni volta, cercare di rigirare il problema da tutte le parti,
non dormirci la notte, confrontarsi coi colleghi,
chiedere.
Chiedere è molto importante nella ricerca, a chiunque ne sappia un po' di più in quel settore
e allo stesso modo è molto importante rispondere in modo gratuito,
fra ricercatori esiste un implicito patto di amicizia e fiducia.
Questo lo dico pur firmando accordi di riservatezza fra colleghi.
Vita da ricercatore, non è come l'avevo immaginata,
è molto più complessa e difficile da spiegare, da raccontare.
Sei imprenditore di te stesso e non vendi te ma offri te, quello che sei in grado di mettere insieme, di tirare fuori da chi lavora insiema a te.
Solo ora mi accorgo che un buon ricercatore è un buon leader nei problemi complessi,
è impossibile lavorare da soli, solo pochi asintomatici geni ci riescono.
La vita da ricercatore ti obbliga ad avere obiettivi ogni giorno ma nessun te li da,
se non un diretto superiore,
gli obiettivi di crescita li devi trovare da solo.
Saper parlare pubblicamente, saper comunicare, saper scrivere si impara
ma solo se si ha una spinta tanto forte da voler fare questo salto a volte nel vuoto.
Ho visto molti miei colleghi proseguire con il post doc, l'assegno di ricerca, per oltre 10 anni e non nego che all'età del dottorato trovavo tutto questo una follia.
Esiste anche la follia del ricercatore che non saprebbe vedersi se non dentro un laboratorio.
La vita del ricercatore per natura è precaria:
non sai quanti fondi riceverai nel prossimo bando, non sai quanti anni potrà durare una collaborazione, non sai se vincerai il bando, non sai se la scelta di progetto avrà una considerevole efficienza, non sai se qualcuno ti mollerà durante il percorso per un posto tempo indeterminato in azienda, non sai se se potrai mai fare il salto a professore, per molti resta solo un sogno, per altri che scelgono gli enti è una rinuncia.
Per fare il ricercatore non ci vuole una predisposizione innata, ogni attimo di vita può far deviare verso questa scelta, dalle materne all'università, dalla delusione amorosa alla sconfitta di campionato, dagli affetti agli incontri per puro caso.
Adoro questa vita e non la cambierei mai, per nessun lavoro al mondo.
Commenti
Posta un commento